La città di Atessa (m. 433 s.l.m.), in provincia di Chieti, è la più importante della riva destra del fiume Sangro. Ha un ampio territorio (Kmq. 110), con più di 10.000 abitanti, nella diocesi di Chieti-Vasto.
Il suo nome appare la prima volta nei documenti dell’abbazia di Farfa come castellum de Atissa.
Apparteneva all’abbazia benedettina di S. Stefano in Lucania, esistente un tempo poco distante la città, ceduta con tutte le sue pertinenze da Ludovico il Pio, quarto figlio legittimo di Carlo Magno, all’imperiale Abbazia di Farfa il 22 giugno dell’anno 829.
Furono però i conti longobardi di Chieti a fare di Atessa un importante polo strategico ed economico: nel 1027 acquisirono il castello, costruendovi una cappella di famiglia e introducendovi il culto di S. Leucio, venerato dai longobardi, siglando l’appartenenza di Atessa al Ducato di Benevento, dove il santo è ancora venerato.
La città accrebbe nel tempo la sua estensione ed importanza, come testimonia la caratteristica leggenda medioevale di due borghi, Ate e Tixa, su due colli, separati da un vallone, dimora di un drago, ucciso da S. Leucio per permettere la loro unione in Atixa.
Affidata nel tempo a diversi feudatari, la città ottenne lo status di libera Università (Comune) nel 1305.
La facciata ospita un portale ogivale di stampo pugliese, sopra cui si trovano cinque piccole nicchie, con al centro una statuetta in pietra di S. Leucio, affiancata dai simboli degli evangelisti.
Sopra ancora, si apre lo splendido rosone angioino del 1312, della scuola di Francesco Petrini di Lanciano. L’interno, a cinque navate, presenta numerose tele settecentesche e dipinti, con pulpito e coro barocchi.
Tra le opere conservate, figurano una antica croce capitolare in argento, un ostensorio di Nicola da Guardiagrele del 1418, uno splendido libro corale miniato del XIV secolo e il settecentesco busto argenteo di S. Leucio, patrono della città, festeggiato l’11 gennaio e il 17 agosto.
La chiesa conserva anche la costola di un grande animale preistorico, da cui nacque la leggenda del drago.
Il Convento S. Maria di Vallaspra
Fuori città, ai piedi del monte Pallano, è il convento di S. Maria di Vallaspra, prima testimonianza di una valle dedicata alla Madonna nel territorio di Atessa.
Le sue origini risalgono al 1408, quando Tommaso da Firenze, francescano osservante, diede inizio alla costruzione di un convento presso un’antica “cona” (edicola) con l’immagine della Pietà, situata in una zona brulla e selvaggia, detta “valle aspra”.
Nel 1700, alla primitiva chiesa venne affiancata una cappella dedicata a San Pasquale Baylon, e da allora il complesso è chiamato anche “San Pasquale”.
Il convento custodisce una tavola di scuola veneta del 1541, raffigurante la Madonna di Vallaspra. Nel chiostro, il pozzo che prodigiosamente di riempì d’acqua nel 1709, durante una siccità, dopo avervi versato l’olio della lampada di S. Pasquale.
L’edificio è di proprietà del Comune, affidato alle Missionarie e Missionari Identes, nel territorio della Parrocchia di S. Leucio. Celebrazioni particolari si svolgono il 17 maggio, festa di S. Pasquale Baylon, e il 2 agosto, S. Maria degli angeli.
Nuovo fiore all’occhiello dell’estesissimo territorio comunale di Atessa, è quello comunemente è chiamato “La Valle”, ossia la zona industriale della Val di Sangro. Un tempo “valle della morte” per essere stato un vallone acquitrinoso e malsano, “cono d’ombra tra Pescara e S. Salvo” per la sua insignificanza, è divenuta a partire dagli anni 70, valle di vita e di lavoro per migliaia di lavoratori, crocevia industriale e commerciale, luogo di relazioni umane e di globalizzazione sociale.
Nella Valle, secondo polmone della città, con l’area industriale, va configurandosi sempre più il paese di Montemarcone, in forte espansione, sede della Parrocchia, e la zona più commerciale di Piazzano-Saletti, tutti cresciuti attorno ad una grande collina, il Monte di S. Silvestro, locale centro geografico e storico.
Pur essendo zona nuova in espansione, la Valle di Atessa ha in realtà una sua storia, anticamente crocevia del tratturo L’Aquila-Foggia. Sulla collina di fronte Montemarcone, in località Fonte Tasca, è venuto alla luce nel 1974 un centro dell’età del bronzo finale (1150-950 A.C.), con grandi orci di terracotta per l’olio e molti altri reperti, antica testimonianza di questa produzione nella Val di Sangro. Nel 1977, ai piedi del Monte S. Silvestro, durante lavori di aratura, è emerso un tempio italico del II-I secolo A.C. con un bronzetto raffigurante la divinità pagana di Veiove, ora al museo archeologico di Chieti. Sul monte si
trovava la chiesa di S. Silvestro, il papa del passaggio dall’era pagana a quella cristiana (313 D.C.), donata nell’anno 829 all’abbazia di Farfa, attorno alla quale si trovava l’abitato di Castel S. Silvestro, ceduto nel tempo a vari feudatari, tra i quali Sordello da Goito, acquistato dal Comune di Atessa nel 1366.
La chiesa rimase in funzione fino al 1788, quando Francescantonio Marcone, sindaco di Atessa, impossessatosi del territorio, la fece ricostruire alle pendici del monte, adiacente la sua abitazione, così da allora la località cominciò ad essere chiamata Montemarcone.
Successivamente la popolazione chiese a Ferdinando II, Re delle Due Sicilie, il permesso di costruire una nuova chiesa sul regio tratturo, libera da interferenze di natura feudale e più rispondente alle necessità sociali, che egli accordò con rescritto del 1847. Costruita con i fondi del Comune di Atessa, con il concorso del popolo, che vi trasportò i sassi dal vicino torrente Appello, la nuova chiesa venne ultimata nel 1860.
Terza in ordine storico, essa non porta più il titolo di S. Silvestro, ma di S. Vincenzo Ferrer, per la secolare devozione del popolo verso questo santo, patrono particolare delle campagne. Nel 1934 la chiesa divenne sede parrocchiale, nel cui territorio sono state costruite le chiese sussidiarie di S. Benedetto (1975), a Piazzano, e S. Luca (1986) nell’omonima località.
La Madonna della Valle
“Madonna della Valle” è il nome scelto per affidare a Maria la zona industriale e invocarla come “Madonna del lavoratore”.
Un nome per indicare che alla dimensione cristologica e giuseppina del lavoro, fatta di sacrificio e nobilitazione della persona, deve accompagnarsi quella mariana di ascolto, sensibilità e disponibilità all’altro.
Un nome per chiedere a Maria di guidare chi lavora verso Gesù Cristo, per ricevere da lui il senso del vivere e del lavorare.
La statua lignea che la rappresenta, scolpita in legno in Val Gardena, benedetta da papa Benedetto XVI il 22 aprile 2009, è ispirata alle antiche statue abruzzesi.
Raffigura la Madonna seduta come madre, discepola, regina e sede della Sapienza di Cristo.
Attraverso le mani giunte e l’espressione seria e dolce del suo viso, invita ad ascoltare l’insegnamento di suo Figlio, “Divino lavoratore”.
Tale specificazione cristologica è recente, diffusasi a partire dagli anni cinquanta del 1900, per ricordare che anche la crescita e lo sviluppo umano di Gesù sono stati segnati e favoriti dal lavoro umano.
Attualmente 6 sono le parrocchie italiane intitolate al Divino Lavoratore, tutte in capoluoghi diocesani: Ancona, Civitavecchia, Roma, Milano, Verona, Vigevano.
Il Bambino, assiso come maestro e lavoratore sulle ginocchia della madre, presenta con la mano destra il vangelo e con la sinistra tre attrezzi da falegname, lavoro che la tradizione gli attribuisce agli anni vissuti a Nazaret.
Essi indicano tre rispettive dimensioni dell’attività umana: il martello, che il lavoro è forza, fatica, sacrificio, quantità produttiva; la squadra, espressione di intelligenza, competenza, professionalità, qualità; il pennello, come arte e ingegno umano, bellezza di lavorare insieme, nel rispetto dell’ambiente.
Il bambino mostrando sullo stesso piano il libro e gli attrezzi insegna a tenere in giusto equilibrio preghiera e lavoro, dimensione spirituale e materiale, questione economica e culturale, aspetto produttivo e sociale. E’ il messaggio di S. Benedetto Ora et Labora, “Prega e Lavora”, diffuso in tutta Europa dai suoi discepoli, a cui si deve l’evangelizzazione della Val di Sangro, come testimoniano le varie memorie benedettine esistenti.
La statua è conservata nella chiesa parrocchiale di Montemarcone, la più antica della zona industriale Val di Sangro. La festa si celebra il primo maggio, giornata dei lavoratori e la prima domenica di giugno con S. Vincenzo Ferrer, titolare della parrocchia. Il 12 settembre, Santo Nome di Maria, si svolge la festa al monumento posto nella rotatoria di accesso sud alla zona industriale, inaugurato lo stesso giorno dell’anno 2010.